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By Marghe 

mercoledì 25 marzo 2009

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"Talenti si nasce o si diventa?"

Di Alessia Manferdini

Alonzo Trier

Sul New York Magazine di questo mese si parla di Alonzo Trier, nuova promessa del basket. La sua giornata inizia quando corre a casa e, smessi i soliti vestiti, indossa la sua “seconda pelle”: scarpe da ginnastica, pantaloncini corti e canotta di almeno tre taglie più grande di lui. Ed eccolo pronto per affrontare l’allenamento di oggi. Ma questo non è che l’inizio, perché davanti a sé ha una lunga settimana di allenamenti estenuanti. Tutto normale, nella routine di uno sportivo. Tutto normale se non fosse che Allonzo ha 13 anni.

Alonzo vive con la madre Marcie, che ha lasciato il compagno perché la maltrattava. Ha un salario modesto e riesce a permettersi giusto un bilocale. Le abilità del figlio sono state sicuramente una benedizione, pare però che tra i due ci sia perfetta sintonia riguardo alla pallacanestro: lei non ha mai spinto lui a fare questo sport e lui non ha mai dovuto convincere lei del perché della passione per il basket.

Ciò non toglie che 13 anni sono davvero pochi. Alonzo va a scuola poi corre subito ad allenarsi: tiri corti, lunghi – deve fare 450 canestri al giorno – e tiri da tre punti; in tutto questo la madre lo aiuta rilanciandogli la palla e tenendo il totale dei canestri effettivi e ne sottrae uno ad ogni doppio errore. Raggiunta la quota giornaliera, madre e figlio si spostano in un’altra palestra, dove il coach di una scuola superiore diventa un insegnante privato per Alonzo e lo allena in uno scontro "uno a uno". Infine si guida per altri 20 minuti e, dopo due ore di allenamento con il A.A.U Team – Amateur Athletic Union, l’allenamento volge al tanto sudato termine. Quasi 7 ore tra allenamenti e spostamenti. Alle 21:30 l’unica cosa che si legge negli occhi di questo baby-cestista è la stanchezza e la voglia di andare a dormire. ...

Siamo davanti all’ennesimo bambino prodigio che, inconsapevole della vita che lo aspetta,viene trascinato in un mondo che lui vede solo come un gioco, un modo di divertirsi da solo o con amici, e che invece, in breve tempo, diventerà un lavoro. A tempo pieno. Chi è adulto sa quanti sacrifici bisogna fare quando non si è più bambini, quanto bisogna impegnarsi per diventare ciò che si vuole, ma c’è un tempo per tutto. Sembreranno frasi fatte, ma ciò non toglie che tutti i bambini abbiano il diritto di vivere la loro infanzia, senza dover affrontare le ansie e le preoccupazioni che affliggono gli adulti.

Non posso fare a meno di pensare anche a tutte quelle bambine che vengono trascinate dalle mamme ai concorsi di bellezza. Truccate e vestite per assomigliare alle ragazze copertina, in realtà quello che traspare è solo la stanchezza negli occhi delle baby-miss – che vengono svegliate all’alba per preparasi – e la stupidità di genitori che vogliono vedere la figlia arrivare dove loro, a causa dei segni del tempo, non potranno più arrivare. Padri e madri che preferiscono la figlia Miss piuttosto che laureata; che preferiscono mettere in risalto le qualità fisiche piuttosto che quelle intellettuali.

Probabilmente Alonzo diventerà un campione, ma a che prezzo?
Quando ripenserà agli anni dell’infanzia e dell’adolescenza sarà felice o rimpiangerà di non averli vissuti come un qualsiasi altro bambino? Ma questi saranno problemi che dovrà risolvere probabilmente da solo, perché spesso i genitori di questi “fenomeni” si godono solo i benefici che derivano dall’impegno e dai sacrifici dei figli.

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