Di Daniele Bertuzzi
“…Situazioni incongrue, pallidi tentativi di giallo rosa nei duetti fra Hemmings e la Nicolodi, una foto di Marilù Tolo per commemorare gli amori del regista, la malinconica riesumazione di Clara Calamai e una superdose di efferatezze che a Hitchcock sarebbero bastate per dieci film…” Nel 1975 gran parte delle critiche stroncano il nuovo film di Dario Argento che, invece, raccoglie un fortissimo consenso tra il pubblico. Il quinto film del Maestro è un thriller-horror che tiene in tensione dall’inizio alla fine e mostra invenzioni a livello visivo e strutturale poi riprese da altri grandi registi contemporanei (tra tutti il grande Quentin Tarantino). Alla storia decisamente ricca di tensione si aggiungono una colonna sonora agghiacciante e degli effetti speciali volutamente esagerati ma perfettamente azzeccati.
Marc, giovane pianista, assiste all'assassinio di una parapsicologa ma non riesce a vedere il volto dell'omicida. Mentre indaga aiutato da una bella giornalista, le persone con cui viene in contatto cominciano ad essere assassinate una dopo l’altra. La verità è insospettabile.
Argento unisce agli stereotipi del thriller (quattro omicidi, lo sconosciuto che decide di indagare da solo…) una visione personale dell’horror: le uccisoni devono essere sadiche e spaventose. Perciò la vittima prima deve soffrire e poi essere uccisa con oggetti quotidiani (lamette, acqua bollente…) per far ricordare allo spettatore il dolore che sicuramente anche lui ha vissuto se pur in maniera minore. Un film che gli amanti del genere non possono non avere visto: un capolavoro.
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