PLAYLIST della SETTIMANA

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By Marghe 

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mercoledì 15 aprile 2009

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ITALIANS - "Corri ragazzo, corri!"

Di Veronica Lenzi


Qualche giorno fa mostravo ad un paio di amici italiani il palazzetto dello sport di UCLA, dove vengono giocate prevalentemente partite di basket e pallavolo. “È più grande del Pala Malaguti!” ha esclamato uno di loro con voce tra l’invidioso e lo sconsolato (i due erano di comprovata fede virtussina, come si addice alle persone di buon senso). “In effetti, quelli del football qui a fianco potrebbero aversene a male, hanno meno spazio”, ho risposto io mostrando quello che è “solo” un gigantesco stadio da allenamento, poiché la squadra gioca a Pasadena. E così, continuando nella nostra passeggiata, abbiamo incrociato, nell’ordine, 12 campi da tennis, lo stadio di atletica, la piscina coperta e scoperta, i campi da basket e la palestra da cinque stanze, gratuita per tutti i Bruins (ovvero gli studenti di UCLA).

La mia università è sicuramente uno dei più legati al mondo sportivo, ma questa non è partigianeria: dalle high schools in avanti, l’intero sistema scolastico americano è attento a promuovere e foraggiare la nascita di nuovi talenti sportivi. Se UCLA ha contribuito a 15 delle 82 medaglie statunitensi, il motivo risiede nel suo successo durante la gara spietata fra colleges che si svolge ogni primavera per aggiudicarsi i ragazzi più promettenti. Le borse di studio sportive rimangono fra le più vantaggiose del sistema universitario ed è certamente vero, come ricordano gli altri studenti con un pizzico di malignità, che permettono a studenti non esattamente brillanti di accedere ai college di punta della nazione solo per le loro doti sportive. A onor del vero, però, se lo studente-sportivo trascura i libri a favore dell’allenamento, risultando ripetutamente assente alle lezioni o fallendo gli esami, viene automaticamente sospeso dalla squadra fintanto che non torna sulla retta via.

Non bisogna ovviamente pensare che le università investano in modo così massiccio sullo sport per puro spirito di servizio al medagliere della nazione. I ritorni economici e di prestigio ci sono eccome. Gli USA ospitano l’associazione sportiva universitaria più grande del mondo, la National Collegiate Athletic Association (NCAA), sotto la cui egida giocano circa 1200 colleges, divisi in varie conferences (sotto-categorie basate sulla posizione geografica). La NCAA organizza e gestisce campionati in quasi cinquanta specialità differenti, portando le migliori università di ogni conference alla sfida finale. Molti sport hanno successo di pubblico, permettendo all’organizzazione (e alle università) di ottenere buoni ricavi dai biglietti. Le partite si svolgono seguendo le regole e le tradizioni dei professionisti, speaker (studente) che commenta le partite incluso. Basket e football sono le discipline più popolari, tanto che persino Mr. Obama non ha resistito a compilare il suo personale pronostico (bracket) per i risultati della pallacanestro. Purtroppo per lui, Duke ha cancellato le speranze di vittoria della sua favorita North Carolina. Gli studenti migliori, sono ovviamente i candidati ideali ad essere scelti dalle squadre statunitensi, una volta terminati gli studi.

Terminando la nostra arrampicata sulla collina del campus con un caffè ristoratore, i miei amici ed io abbiamo pensato con un po’ di tristezza ai nostri atleti costretti a cercare uno sponsor con il lumicino e a far necessariamente parte delle forze armate per poter continuare ad allenarsi. Inoltre, riflettevamo sul fatto che un sistema integrato come quello americano, dove lo studente non deve percorrere kilometri per trovare un luogo di allenamento decente, aiuta il giovane sportivo a non dover mollare gli studi pur di continuare il proprio sport, evitando una scelta difficile e comunque ingiusta.

Per una volta, abbiamo concluso noi italiani, c’è da prendere esempio.
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lunedì 6 aprile 2009

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ITALIANS: "Semana Santa: quando la religione diventa tradizione"

Di Elena Menini

Finalmente sono tornataaaa! Chiedo scusa ma il lavoro mi ha occupato gran parte delle giornate (e con gran parte intendo più o meno 12-15 ore al giorno) e, in più, il computer ha deciso di non funzionare per almeno due settimane! Comunque, ora sono più ricca ma anche molto più stanca. E non solo per colpa del lavoro!

Dovete sapere infatti che, proprio oggi, è iniziata a Siviglia la settimana più importante dell’anno, quella a cui un sivigliano "di origine controllata" non può rinunciare, quella settimana per la quale i bambini iniziano a fare il conto alla rovescia, appuntando ogni giorno che manca sul loro diario (un po’ come noi facevamo con le vacanze estive). E così, a forza di -40,-39, -38, -37 è arrivata: LA SEMANA SANTA.

Ora, visto il periodo e il nome, è abbastanza scontato che io stia parlando della settimana di Pasqua, che parte con la domenica delle palme (in spagnolo Domingo de Ramos) e si conclude con il giorno di Pasqua. Quello che non era per niente scontato e con cui ho dovuto fare i conti oggi, per la prima volta nella mia vita, è il fanatismo e la “religiosità” che si celano dietro a tutto questo.

Vi spiego meglio: durante la settimana, in tutto il centro di Siviglia, partono delle processioni che attraversano tutta la città. Queste processioni, ovviamente, sono composte da vari personaggi: si parte dai NAZARENI, ovvero persone comuni vestite con il tipico abito che noi attribuiamo al Ku Klux Klan, che cambia colore a seconda della hermandad di cui si fa parte (una specie di parrocchia). In termini numerici si va da 500 fino a 2000 membri A PROCESSIONE!!!!!

Questi buffi personaggi sono seguiti dal PASO che è niente di più che un altare, sorretto da 30-50 persone, tutte nascoste sotto la pesantissima impalcatura d'argento, che porta la Madonna e il Cristo (attenzione qua non c’è un solo Cristo e una sola Madonna, ogni processione ha i suoi e i nomi ovviamente cambiano). Le statue che rappresentano queste figure sono molto grandi e coperte da drappi e mantelli di velluto, bordati in oro, lavorati a mano e decorati con una serie di corone di fiori e candelabri in oro e argento che sono veri e propri pezzi d’antiquariato.

Dietro il paso arriva la BANDA, il cui compito è quello di rendere il tutto ancora più tetro di quanto già sia, suonando requiem e canzoni veramente deprimenti, a tratti persino angoscianti (prevalgono i tamburi e i tromboni, diciamo che proprio allegre non sono). Anche qui i componenti variano da 30 a 70.

Poi arrivano tutti i familiari di tutti i componenti del “PASO” che è anche il nome generico che si usa per la processione.Più tutta la gente che assiste ammassata sulle transenne o al bordo della strada.

E, cosa più importante, non si può attraversare un Paso. Bisogna aspettare che finisca o inventarsi le più svariate bugie: per esempio, io oggi ho adottato la tattica del “vivo giusto giusto in questa porta di fronte” e non ha comunque funzionato. Attraversare la processione è il pass-par-tout per l’Inferno.

Ma se non si vive la Semana Santa di persona è difficile immaginarsi la quantità di problemi e inconvenienti che può creare tutto questo e così cerco di spiegarvelo.

Numero uno: la processione esce dalla chiesa di cui fa parte, per poi farsi un bel giro in tutte le vie del centro (per chi fosse stato a Siviglia sa che le vie del centro, se sono grandi, sono poco più che tre metri di larghezza) e rientrare poi dopo 7-8 ore nella stessa chiesa da cui era uscita (pensate a quei poveretti che stanno 7-8 ore a sorreggere un altare che pesa tonnellate, per non pensare poi a quando devono entrare in alcune chiese la cui porta è troppo bassa e vanno avanti inginocchiati… credo che questo aprirebbe il Paradiso a chiunque)

Numero due:se ce ne fosse solo una al giorno sarebbe forse piacevole. Ma no. Ci sono una media di 10 processioni al giorno, che si incrociano, si scambiano, si attraversano, si mescolano, per tutto il centro. Risultato: tutte le strade sono chiuse o inagibili per la quantità di gente o perché proprio in quel momento ci si imbatte in un Paso (e in una città che ha il centro storico grande più o meno come quello di Bologna, capite che succede frequentemente nell’arco di una giornata).

Numero tre: vieni ricoperto di insulti solo perché, dopo ore di attesa, prendi il coraggio a due mani e decidi di sfidare le alte sfere e tutti i santi attraversando la processione. Hai già i nervi abbastanza tesi e la risposta sgarbata e maleducata ce l’hai sulla punta della lingua da quando hai messo piede fuori casa, soprattutto perché ti stai sorbendo tutto questo non per scelta personale, ma perché, in un modo o nell’altro, devi andare al lavoro. Vi assicuro che inimicarsi un Sivigliano non è divertente.

Numero quattro: secondo voi qual è il pit stop obbligatorio per tutte le processioni? La cattedrale.E secondo voi dove vivo io? Esattamente di fianco alla cattedrale e, con di fianco intendo A LATO della cattedrale. Le mie finestre si affacciano sulla piazza centrale.E secondo voi dove lavoro? Esattamente di fianco alla seconda piazza più importante in questa settimana: riassumendo, ci metto due ore e passa per fare un tragitto che normalmente copro in 10 minuti, camminando senza fretta e ascoltando il mio iPod.

Numero cinque e poi concludo: come vi dicevo Siviglia ha una popolazione di più o meno 700.000 abitanti: durante la Settimana Santa arriva a 3 milioni: gli alberghi sono affollatissimi, la gente (io inclusa) affitta camere, finestre e balconi e riesce a pagarsi due mesi di affitto, insomma anche di notte, quando tutto è “tranquillo”, c’è veramente tanta gente in giro.

Il giorno peggiore è il Giovedì santo o come viene chiamato qua, LA MADRUGA’.
“Madrugar” in spagnolo significa fare le ore piccole e questo è quello che fanno le processioni: escono dalle varie chiese all’una di pomeriggio per poi rientrarvi solo alle 3 del pomeriggio dopo…un after hour di requiem, incappucciati inquietanti e tonnellate di persone sedute o in piedi, aspettando di vedere un altare, che è esattamente uguale a quello che hanno visto un’ora prima, nella via accanto.

E allora io mi chiedo: con tutta questa dedizione e fede, le chiese alla domenica, alla messa, saranno piene di gente. Ma neanche per sogno. E’ solo in questa occasione che tutto si mescola: molti di quelli che partecipano attivamente alla processione, nazareni, portantini, fans, nella maggior parte dei casi non sanno neanche cos’è una messa. Entrano il sabato prima in massa in chiesa, per confessarsi, per poter affrontare la settimana ed espiare i loro peccati, si schiacciano le vertebre (e succede davvero), si distruggono le schiene e le gambe, portano enormi croci di legno e tutto questo per cosa? Religione? No. Non si tratta più di religione, questo non ha niente a che vedere con la sacralità della Pasqua. E’ semplicemente una tradizione a cui non si può mancare, una specie di obbligo morale verso la città e una scusa per stare a casa dal lavoro una settimana intera.

E a noi che siamo guiri, "stranieri" come ci chiamano qua, che cosa ci rimane? Nervosismo per tutta la settimana, arriviamo a disprezzare la Semana Santa prima ancora di vederla, non la guardiamo più con occhi obbiettivi: siamo completamente condizionati, la nostra vita, il nostro ritmo di vita, viene completamente condizionato. Perfino il mio cane è disorientato e non sa più da che parte si va per andare al parco. Si accontenta del cortile interno. E cosi farò io: andrò al lavoro con il sorriso perché so che Gesù vorrebbe cosi e la Madonna anche… e che forse guardano dall’alto e pensano: ma tutta questa cosa è davvero necessaria?

Sarò blasfema, forse qualcuno mi immaginerà a bruciare su un rogo e forse dovrebbe chiedersi dove finisce la religione e dove inizia il fanatismo: ma questo mi fa capire che “tutto il mondo è paese” e che, se qualcuno conoscesse la risposta, non ci troveremmo con tanti morti in nome di Dio.
Amen.

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lunedì 30 marzo 2009

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ITALIANS: "L.A. GABBIA DORATA"

Di Veronica Lenzi


La sensazione che si prova scendendo da un volo transcontinentale con destinazione U.S.A. è simile a quella di un pioniere del 1800 che va alla ricerca dell’oro in una terra inesplorata. Per quanto si possa essere critici verso l’universo America, è impossibile non provare un filo di timore reverenziale misto al suo contrario, ovvero quella che qui definiscono “il solito senso di superiorità europeo”. A mio parere questo accade perché l’America è davvero un paese grande e potente, come i motori dei SUV, gli hamburger extra large e le strade infinite ricordano costantemente al viaggiatore. 

Se sulla East Coast questo sentimento si perde in gran parte fra grattacieli eleganti e un sentito fervore culturale, dal Midwest in avanti, fino alle coste del Pacifico, l’America si dispiega come un continente senza mezze misure. Succede così che il giovane europeo, magari un po’ nostalgico della dimensione maggiormente umana del Vecchio Continente, ricerchi all’interno del campus (o del quartiere in cui risiede) la sensazione del paese, della piccola città ancora chiusa fra le mura medievali. Così facendo, non si accorge, forse, di stare seguendo esattamente la regola di vita dell’americano medio: vivere in un grande paese, ma garantirsi un vicinato conosciuto e controllabile. 

I quartieri benestanti di Los Angeles (escludendo quelli per ricconi) sono piccoli castelli dorati, uno vicino all’altro, ma quasi impermeabili, in modo da ricreare tanti piccoli villaggi in una città altrimenti immensa e per molti aspetti alienante. Da studentessa, spenderò due parole su Westwood, il quartiere dove si sviluppa UCLA. Come è prevedibile, l’età media del circondario non supera di molto i vent’anni, e ogni sera (escludendo rigorosamente le settimane degli esami finali) c’è qualche festa a ricordarlo. Stranamente i negozi che si estendono nel quartiere non sono però i classici supermarket economici o i pub per tasche vuote. Sarà che siamo nella glam city, ma nel ristretto arco di qualche km quadrato è possibile trovare una pasticceria francese, una decina di ristoranti che variano dal thai, all’americano, al vegano, un negozio di racchette da tennis dove non accettano carte di credito (forse l’unico in America), fiorai, italian deli e persino una piccola falegnameria. L’università coabita in armonia con questa cittadina nella città, ma difficilmente vedrete studenti comportarsi da studenti fuori da Westwood. Allo stesso modo, non vedrete mai alcuni tipi di automobili, o di persone, fuori da Bel Air. 

Il prezzo da pagare per rendere un'anima intima e domestica a una città che è stata costruita sull’esagerazione e sulle luci della ribalta è vivere in gabbie dorate che non comunicano fra loro, impedendo quindi una reale dimensione collettiva. Così, il giovane europeo si accorge, con un po’ di presunzione che fatica ad essere lavata via, che l’America è grande e varia, ma che spesso sono gli americani per primi a non saperlo, o a non ricordarlo più… mentre il Vecchio Continente, forse per le sue dimensioni ristrette o le sue lotte intestine, forse per qualche gene da esploratore che ancora permane nei suoi abitanti, è più abituato a guardare oltre (e dentro) i propri confini. 

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lunedì 23 marzo 2009

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ITALIANS - "Elena rapita dagli alieni???"

Questa settimana spostiamo la rubrica Italians a domani! Problemi di comunicazione tra Spagna e Italia ci hanno impedito di ricevere il pezzo della nostra inviata! Chissà dove sarà finita Elena...

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lunedì 16 marzo 2009

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ITALIANS - "Farewell, Washington"

Di Veronica Lenzi

photo © kevindooley CC:Attribution

Oggi Washington è grigia e fredda, tira un vento leggero e si vede poca gente in giro. Il sabato mattina, da queste parti, è caratterizzato dal rito della colazione fuori, con i cafè straripanti di gente dal naso rosso e dalle mani intirizzite che chiacchiera animatamente del tempo, delle tasse e di politica. Nelle giornate calde si comincia già a sentire il profumo dei ciliegi, per cui questa città è famosa, e il vento laminato diventa una piacevole brezza che induce a lunghe passeggiate.

È così che voglio ricordarmi di questa capitale bianca e gentile, che mi ha dato molto e che sicuramente mi mancherà. Se mai doveste passare di qui, vi suggerisco di considerare la visita ai monumenti come una lunga passeggiata. Non datevi tempi precisi, perché il ritmo elegante ma straordinariamente lento della città non vi sarà d’aiuto. Lasciatevi sorprendere da quel che troverete sulla via: molte delle cose più interessanti di DC sono all’aperto e non vi faranno sospirare per lunghe code o ambienti soffocanti. Seguite la folla, che al contrario di altre città americane è spesso composta da persone che viaggiano verso luoghi di cultura o eventi, piuttosto che uffici. Potreste trovarvi ad entrare in un edificio dove si tiene un dibattito gratuito con la partecipazione di Hillary Clinton, oppure, a una cifra modica per noi europei, è possibile riusciate a infilarvi ad un concerto della Filarmonica del Kennedy Center al quale Obama assiste in prima fila.
...

I musei sono molti, e per ogni gusto: si va dall’impressionante complesso dei Musei Smithsonian, che comprendono tutto lo scibile storico, dall’antichità all’arte moderna, fino all’Air and Space Museum, meraviglioso per gli appassionati del volo e dello spazio, e ancora allo Spy Museum, dove è possibile partecipare alla simulazione di un’operazione della CIA in un remoto paese asiatico. Non vivete questi gioellini con l’occhio del turista, ma accompagnateli a qualche chiacchiera seduti sui gradini della Libreria del Congresso o mescolateli a un aperitivo in un jazz club. I ristoranti di Washington sono mediamente abbastanza costosi, ma lo stesso non è vero per le caffetterie e i locali…una buona versione della guida Lonely Planet può essere la vostra migliore compagna.

Venite dunque in città con amici, fidanzati, amanti con cui vi piace chiacchierare perché, questo bisogna ammetterlo, DC è la città della retorica e del parlato, e la cosa condiziona persino un semplice viaggiatore di passaggio. Nulla qui è ingessato, ma tutto è fluido, deliziosamente nascosto, a volte. Insomma, una città per astuti esploratori urbani.

A presto, con nuovi pensieri, questa volta sviluppati sotto il sole della California.
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lunedì 9 marzo 2009

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ITALIANS - "Sevilla mon amour!"

Di Elena Menini

Photo credit: Elena Menini

Questo sarà il primo “articolo” di una lunga serie (speriamo!) che vedrà come protagonista una ragazza di nome Elena (la sottoscritta) e il paese in cui ora vive, la Spagna.

Moderno e tradizionalista, soleggiato e accogliente, questo paese ospita, tra le tante altre, una regione - l’Andalusia - terra di corride, flamenco, cerveza e gazpacho (non temete se qualche parola vi suona un po’ strana... se continuerete a seguirci sapremo rendervi familiare ogni aspetto di questa incredibile cultura!). Dico “sapremo” non perché sia solita ricorrere all’uso del pluralia maiestatis, ma perché la vera protagonista, la musa ispiratrice di tutte queste storie, sarà soprattutto lei, la città che mi ha accolto con calore (in tutti i sensi se pensate che a Febbraio ci sono già 28 gradi): Siviglia.

E prima ancora di raccontarvi le mille avventure/disavventure che inevitabilmente ti accadono quando decidi di trasferirti all’estero - dalla ricerca della casa e di un lavoro, fino all’inevitabile confronto con una cultura cosi simile ma cosi diversa da quella italiana - ho pensato fosse meglio darvi qualche notizia, diciamo, “tecnica”, su questa città, tanto per farvi ambientare un po’…


Siviglia (in spagnolo "Sevilla") si trova nella parte sud-occidentale della penisola iberica. Capoluogo artistico, culturale, finanziario ed economico della Comunità Autonoma dell’Andalusia, sorge sulle rive del fiume Guadalquivir: la sua popolazione è di circa 700.000 abitanti, cifra che le permette di essere considerata la quarta città spagnola (dopo Madrid, Barcelona e Valencia).

Il nome della città proviene dall’antico Hispalis, di origine romana, cambiato poi in Ishbiliya in epoca musulmana (eh si, miei cari! Qui siamo in pieno spirito arabo e presto vedremo come la presenza di questa cultura abbia influenzato, per secoli, le tradizioni andaluse). La lingua ufficiale è il castigliano, anche se il forte accento ha contribuito a differenziare e creare una “quasi-lingua”, el Andaluz, di non facile comprensione, se proprio vogliamo essere sinceri.Il clima, come già vi ho detto, è decisamente mite, l’inverno “vero e proprio” dura poco più di due mesi, da metà dicembre a metà febbraio. La primavera arriva con largo anticipo (ripeto: 28 gradi a Febbraio), per lasciare poi il posto ad una torrida torrida estate già a partire dal mese di maggio… Bisogna però dire che l’umidità, che noi della bassa ben conosciamo, qui non esiste e il clima secco aiuta a far sembrare il tutto più sopportabile.

Con queste poche informazioni, che dicono tutto e niente, per il momento vi lascio. Dal prossimo articolo inizierò a raccontarvi la vera Siviglia... quella di cui non si parla nelle guide turistiche!

HASTA PRONTO!!
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domenica 1 marzo 2009

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ITALIANS - "L'elefante e l'asinello"

Di Veronica Lenzi



L'America era allora, per me i G.I. di Roosvelt, la quinta armata,
l'America era Atlantide, l' America era il cuore, era il destino,
l'America era Life, sorrisi e denti bianchi su patinata,
l'America era il mondo sognante e misterioso di Paperino…
(Francesco Guccini, Amerigo)

In questo primo articolo dal Nuovo Continente, ho voluto lasciar parlare alcune delle persone con cui da, ormai due mesi, vivo a Washington. L’America sono le sensazioni di un paesaggio, le dimensioni delle cose, gli odori. Poi, arrivano gli Americani. Ed ecco che questo paese diventa un intrico complicato di radici, ricordi, e speranze, condite con assai meno arroganza di quanto la mitologia statunitense farebbe pensare.

Lana ha 22 anni ed è nata in Corea del Sud, dove ha trascorso la sua prima infanzia. Studia Scienze politiche e il suo sogno, una volta laureata, è entrare in una Law School. Prima ha però programmato di trascorrere un anno lavorando, sperando che la crisi economica non la penalizzi eccessivamente. Lana è di tendenze politiche democratiche.
Brittani ha 21 anni e studia Relazioni Internazionali. Convinta repubblicana, di origini israeliane, è stata appena ammessa alla Columbia Law School.

Qual’è il senso delle ultime elezioni americane (se per te ne hanno avuto uno) e come ti senti riguardo alle prime azioni dell’Amministrazione Obama?


Lana: Le elezioni sono state un momento davvero entusiasmante, una sorta di rivoluzione, con due contendenti democratici che erano rispettivamente una donna e un afro-americano. La vittoria di Obama indica che, nonostante i problemi della nostra società, gli Americani sono più progressisti di un tempo. Questo è un segnale importante, soprattutto considerando la battaglia che da 50 anni il Movimento per i Diritti Civili porta avanti. Con queste elezioni gli Americani hanno riaffermato la loro fede negli ideali democratici e, soprattutto, nel vero e proprio concetto di democrazia. Credo che la nuova amministrazione stia affrontando decisioni molto difficili, che provocano inevitabili contrasti. Al momento, non mi sento in grado di valutare il loro operato, ma ho grande fiducia.

Brittani: Sono stata molto coinvolta in questo ciclo elettorale. Forse la mia visione contiene dei pregiudizi, perché il mio voto è andato a McCain. Penso che Obama sia arrivato alla presidenza grazie al suo carisma, ma che non sia il migliore leader che l’America potesse avere. Ha messo il peso dello stimulus package sul Congresso, che è tutto tranne che bi-partisan. Le sue nomine di gabinetto sono state inconsistenti e pare essere in perenne guerra con la stampa. Spero per il bene della nostra nazione che l’Amministrazione migliori.


Potresti riassumere in qualche parola il senso più alto dell’essere Americani (valori, sensazioni e unicità di questa cittadinanza)?


L: Penso che la quintessenza dell’America sia il governo del popolo per il popolo. Questo termine è come un ombrello, comprende tutti gli altri valori americani, specialmente libertà ed eguaglianza. Gli Stati Uniti sono unici perché non sono stati fondati da poteri privilegiati (come monarchia e oligarchia), ma sono invece nati da obiettivi democratici, a differenza di altri paesi. Inoltre, penso che l’America sia una società molto individualistica, dove ciascuna persona è responsabile per il proprio successo. Il sogno americano nasce esattamente da questo, dalle opportunità che questo paese offre.

B: Nonostante l’America contenga in se molte Americhe, ognuna diversa, penso che siamo tutti accomunati da un forte senso di libertà, giustizia e indipendenza. Siamo motivati dall’American Dream, e tendiamo ad essere persone ottimiste. Direi anche che gli Americani sono in prevalenza capitalisti e contemporaneamente grandi filantropi.


Da studentessa universitaria, perché pensi che le università American siano così competitive nel mondo? Vedi in questo sistema una qualche debolezza significativa?


L: Penso che questo sia dovuto al fatto che, come detto, la società americana garantisce eque opportunità, ma è individualistica. Ciascuno è il creatore della propria riuscita e deve quindi essere responsabile per la sua performance universitaria, specialmente perché tramite il duro lavoro si possono aprire nuove e molteplici opportunità. Basandomi sulla mia esperienza, non noto grandi debolezze nel sistema; io ho ricevuto un’ottima educazione universitaria, che mi ha sviluppato sia personalmente che sul piano accademico. Ognuno ha la sua esperienza, la mia è davvero positiva.

B: Penso che le università americane siano ultra-competitive a causa della posizione di superpotenza degli Stati Uniti.


Come ti senti nei riguardi dell’Europa? Sceglieresti di vivere per un lungo periodo nel Vecchio Continente?


L: Per quanto ami l’America, mi piacerebbe molto vivere nel Vecchio Continente. Ho studiato in Europa lo scorso anno e ho amato la antica cultura e la storia che si può letteralmente respirare nelle vecchie città europee. L’America non può offrire tutto questo, è ancora troppo giovane. Forse l’importanza che personalmente attribuisco alla storia nasce dal fatto che la mia identità nasce in Corea, un paese ricco di tradizioni e che mi manca molto. Per questo, l’Europa mi da una interessante sensazione di “casa” ed è stato gradevole vivere in un posto che mi ricordava della mia nazione d’origine, a causa dei legami storici che Asia e Europa condividono.


B: Amo l’Europa, è così ricca di storia e cultura! Ho vissuto lì per sei mesi nel passato e mi piacerebbe molto ritornarci. Rimango comunque molto legata agli Stati Uniti. Il nostro sistema è il meno corrotto, il più efficiente e mi riconosco in pieno nei valori americani.

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ITALIANS - Introduzione

Di Margherita Marchioni

Veronica Lenzi, nata e cresciuta a Castel Maggiore, si trova ora a Washington, grazie ad un programma interno all'Universita' della California.

Elena Menini, nata e cresciuta a Castel Maggiore, ha scelto la Spagna come meta post-universitaria e si è trasferita a Siviglia.

Entrambe hanno messo in gioco se stesse e - come tutti quelli che decidono di emigrare - vivono e vivranno non solo esperienze nuove, ma anche difficoltà. Quando si arriva in un paese straniero, vengono a mancare - oltre alla lingua - le abitudini, gli amici, i parenti, e una sorta di coscienza nazionale che prima non si sapeva nemmeno di avere. E' questa mancanza a spingere i turisti a fare amicizia con chiunque parli la nostra lingua in terra straniera. Un esempio: chiunque si sia recato a Londra non potrà non aver simpatizzato per uno dei tanti camerieri italiani che lavorano nei fastfood. Appena sentiamo un accento lievemente italiano, cominciamo già a sorridere. Non sempre, però, ci sono italiani in giro. E allora cosa si fa? Come si guarda il mondo? Come lo si interpreta?

Questo è quello che le nostre "inviate" cercheranno di raccontare attraverso i loro articoli.

Margherita Marchioni

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